Già qualche tempo fa vi abbiamo raccontato come l’Azienda Sandrin mantenga uno stretto contatto con la storia e per questo si dedichi a ricercare anche prodotti tradizionali, con un passato importante, di cui si sono perse le tracce, un esempio su tutti il Passito.
Il primo incontro con questo particolare vino l’ho avuto personalmente, nel 1997 quando, ho ritrovato nella soffitta dei nonni una damigiana di vino scolma, sigillata da un tappo in sughero.
Ho spillato un bicchiere di vino per assaggiarlo e se ci ripenso quel sapore mi pervade ancora la bocca e il naso si riempie del gusto e dei profumi di mandorla tostata, frutta secca, prugna e miele. Quella damigiana di “vin santo” o “vin da messa”, come lo chiamava il nonno, era stata dimenticata per oltre 10 anni.
Diciamo che comunque non era un prodotto sconosciuto al mio palato, poiché il nonno aveva l’abitudine fin da quando era giovane di riporre una o due damigiane di questo vino per portarlo in tavola nelle occasioni di festa particolari. Era consuetudine di tutte le famiglie valdobbiadenesi mettere da parte un po’ d’uva e farla appassire su dei graticci nei mesi invernali, per poi torchiarla nei giorni della Settimana Santa, ottenendo così un liquido denso che fermentava lentamente, anche fino a un anno per diventare un vino durevole nel tempo. Il Passito un tempo veniva utilizzato come ricostituente per i malati, come rimedio per riscaldarsi nei periodi dell’anno più freddi e spesso come omaggio ai sacerdoti che con questo celebravano le messe.
La cosa che mi ha stupito di più nell’assaggiare quel bicchiere di vino dimenticato per così tanti anni, è stato scoprire che il tempo non lo aveva deprezzato, ma anzi lo aveva arricchito, reso più elegante, quasi unico e questo fatto mi portò riflettere. Quell’incontro imprevisto ha cambiato la mia visione del “mondo del vino”: fino ad allora lo vedevo ruotare prettamente intorno a bollicine e spumanti, ma da quel momento mi avrebbe portato a ricercare nella mia professione anche un po’ di poesia.